Ecco una guida per togliersi
ogni dubbio

Tutti gli italiani hanno sentito parlare del 5 per mille, ma nella dichiarazione dei redditi solo 4 su 10 mettono la loro firma per destinarlo.

Che cosa ci frena? Soprattutto il timore che “ci costi” qualcosa in termini economici: ma è falso.

E tu che il 5 per mille lo hai sempre destinato? Sai davvero tutto? Quando vale in media una firma? E a chi vanno i soldi di chi non inserisce il codice fiscale di un’organizzazione ma mette solo la firma?

È una misura di sussidiarietà fiscale introdotta in Italia in via sperimentale a partire dal 2006 e poi stabilizzata nel 2014. Ogni contribuente ha l’opportunità di decidere dove indirizzare una piccola parte della propria Irpef (il 5 per mille), a sostegno di realtà che operano in settori di riconosciuto interesse pubblico, per finalità di utilità sociale.

Nulla, letteralmente. Chi firma, si limita a destinare una quota della propria Irpef. È lo Stato che “cede potere” su una parte delle tasse che deve ricevere, lasciando che sia il contribuente a dire come utilizzarla. Chi non destina il 5 per mille non risparmia nulla: invece di supportare il non profit, lascia integralmente la propria Irpef allo Stato.

Il valore della singola firma varia in base al reddito dichiarato. A titolo di esempio, con un reddito lordo di 15mila euro il 5 per mille vale 17,50 euro mentre con un reddito lordo di 50mila euro si destinano 77 euro. Nell’edizione 2022, il valore medio di una firma è stato di circa 32 euro.

Basta una firma. Nella Certificazione unica o nella dichiarazione dei redditi il contribuente troverà le sette aree che è possibile sostenere: enti del Terzo settore, ricerca scientifica, ricerca sanitaria, beni culturali e paesaggistici, attività sociali del Comune di residenza, associazioni sportive dilettantistiche, aree protette. Si può scegliere solo una destinazione.

Inserendo il Codice Fiscale della realtà prescelta, si destina univocamente il proprio 5 per mille a quello specifico ente. Se si mette la firma per un settore ma senza indicare un codice fiscale, il 5 per mille verrà ripartito fra le tutte le realtà iscritte a quell’elenco, in maniera proporzionale alle scelte espresse dai contribuenti: di fatto così si premiano le realtà più grandi. Sul sito di ogni organizzazione si trova facilmente il codice fiscale da inserire nella dichiarazione dei redditi per la destinazione del 5 per mille.

Può destinare il proprio 5 per mille direttamente sulla Certificazione Unica, consegnando la scheda integrativa attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, a un Ufficio postale, a una banca o a un Caf: basta mettere la Certificazione Unica in busta chiusa con la scritta “Scelta per la destinazione del 5 per mille dell’Irpef” indicando nome, cognome e codice fiscale del contribuente.

Sono sette gli ambiti di attività che lo Stato ha ritenuto meritevoli del 5 per mille e per ciascuno di essi esiste un elenco di enti, fra cui il contribuente può scegliere. L’elenco degli Enti del Terzo settore sul sito del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’Agenzia delle Entrate; per la ricerca scientifica sul sito del ministero dell’Università e della Ricerca; per la ricerca sanitaria sul sito del ministero della Salute; per le associazioni sportive dilettantistiche sul sito del Coni; per le aree protette sul sito dell’Agenzia delle Entrate. I Comuni sono tutti ammessi al contributo. La cosa più semplice per sapere se l’organizzazione che abbiamo in mente può ricevere il 5 per mille è verificarlo sul suo stesso sito.

Lo Stato offre al contribuente tre strumenti simili che sostengono però tre finalità diverse: le confessioni religiose e lo stesso Stato (con l’8 per mille), le associazioni e la ricerca (con il 5 per mille), i partiti politici (con il 2 per mille). In tutti i casi lo Stato rinuncia a una quota dell’Irpef per destinarla al soggetto indicato dal contribuente.

No, nella stessa dichiarazione dei redditi si possono esprimere tutte le tre scelte: il 5 per mille, l’8 per mille e il 2 per mille.

I beneficiari hanno sempre avuto l’obbligo di rendicontare allo Stato come hanno speso le risorse di cui hanno beneficiato tramite il 5 per mille. In aggiunta, a partire dai contributi incassati nel 2020, gli enti devono pubblicare sul proprio sito web anche una relazione illustrativa (è escluso dall’obbligo chi riceve un contributo inferiore a 20mila euro).

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